martedì 6 ottobre 2009

giovedì 14 maggio 2009

venerdì 8 maggio 2009

l'asino e i bipedi














Zenzera, l’ex Bezzera la Capra che fa le capriole e c’ha le lunghe belle gambe come le capriate.

È bianca e simpatica, giocherellona come tutte le capre. Mangia e mangia continuamente come tutti gli erbivori, in più lei ha 3 o 4 stomaci da riempire, non si sa mai, si può incorrere in un lungo periodo di carestia. E mangia tutte le foglie amare, amarissime che le danno una forza e una energia tremenda. Lei deve salire. Non è mica un cane bene educato! Te sei seduto al tavolo con gli amici, un fiasco di vino e dei bicchieri, oppure la teiera e le tazze da thè, o da caffè, e lei con un salto ti salta sul tavolo. Come salta è tutto da vedere. Forse salta di fronte, invece a Shiraz, o Sciraz, in Persia meridionale dell’Iran, una capra selvatica del Sig. Shahbazi o Sciahbazi, uno dei capi della tribù transumante Qashqa'i, quando s’allungava mettendo le zampe anteriori sul muro, diventava più alta di un uomo maturo, e quella lì non saltava di fronte, si metteva al lato del muro e faceva un salto a 4 piedi pari. Saliva insomma con tutte e quattro le zampe insieme, e di fianco. Bellissima è dire poco.

Torniamo alla signorina Zenzera, signorina perché non si è ancora sposata, e su questo ritorniamo tra poco, dunque torniamo a quando, contro le raccomandazioni tassative della padrona, signora Marta, io le ho dato uno zigulì. Lei lo prese un po’ titubante, lo fece girare un attimo in bocca spostandolo di qua e di là, se lo gustò con tutte le ghiandole della lingua e quando ebbe registrato il buon sapore gradevole agrodolce, cominciò a masticarlo e inghiottirlo, e per la prima volta alzò gli occhi e mi guardò negli occhi. Aveva capito che l’amo. Intuito il messaggio, lontani dagli occhi della Signora Marta, le detti questa volta due zigulì insieme. Era tutto un biascicare e leccare come se le dispiacesse mandarli giù tutto insieme, e mi guardò ancora negli occhi.
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La Signora Marta l’aveva comprata al mercato degli animali di Certaldo, da dove parlava un certo Bocaccio, che strano cognome fosse questo non si è mai saputo! Come chiamare uno Occhiaccio perché ti guarda male e storto, o Signor Orecchiaccio, Nasaccio… Già, allora Masaccio in realtà si chiamava Nasaccio? Oppure Vasari in Nazari, come Amedeo Nazzari, un po’ raddoppiato. Insomma comprò Zenzera apparentemente perché era destinata a diventare zuppa e lesso, insieme agli odori, le patate e un po’ di peperoncino, a diventare arte culinaria. La salvò perché la Signora è vegetariana da quando si era recata in India, dove ci sono gli indiani dell’India non gli indiani d’America. La salvò e le diede nuova vita. Chissà se Zenzera l'ha capito. Ma la Signora lo fece volentieri, un po’ anche per se stessa e mai potrebbe ricattarla dicendo: “se non fosse per me, tu adesso non eri nemmeno cacca né concime”. Fiore? Erba? Arbolè? Ossigeno, energia? Tutto quanto, ma insieme a tutti gli altri!
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Già, a pensare che noi una volta eravamo elio e idrogeno e poi siamo diventati homo sapiens, anche una capra, per inverso, come canone inverso, potrebbe diventare, se lo desidera, energia diffusa e sonora, perché l’energia ha un suono, una vibrazione che può riscaldare, come i cellulari.
Mi sono di nuovo perso, ma volevo dire una cosa strana che fanno tutte le capre, dicono che spesso e volentieri i maschi, quando fanno la pipì, la leccano e piegano il labbro superiore, come la Sorella Superiore, girano il capo ai 4 venti e la annusano e la analizzano. Perché non si sa. Per essere sinceri, io non lo so. Ognuno può dire la sua. Diverse persone dicono che i maschi assaggiano il piscio delle femmine per decidere se sposarle o meno. Zenzera, che vive da sola e non ha maschio che l’aiuti ad analizzare la pipì, lo fa da sola e non aspetta nessuno. Se e quando i pretendenti volessero sapere se lei è consenziente o no, le analisi sono già pronte.

Giacchè stiamo parlando del matrimonio della signorina Zenzera, vi dico che la Signora protettrice ha pensato di darla in sposa ai daini, che se la spassano liberamente nei dintorni. Ogni sera all’imbrunire senti le loro voci e la mattina vedi le orme. Passato il tempo della vendemmia, si lascia libera Zenzera, tanto non va lontano, così di sera conoscerà il marito. Il figlio nascerà ibrido, come quando le maiale si sposano con i cinghiali, e speriamo che il padre non litighi con Zenzera dicendo “questo è mio figlio e lo voglio educare come voglio io!” Poco machi sono i maschi delle capre, cioè, i capri. Tutti all’Isola di Capri, dicono che è bellissima. Carinissima, ma carissima.
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Poi che ci è rimasto da raccontare di Zenzera? Aveva un fratello bianco e nero, ma lui ora non c’è più. Quando rimane sola lei canta, ma non sempre in do maggiore. Quando è triste canta come una bambina in do minore. E poi fa le capriole, mette giù la testa e fa una capriola. Io le prendevo le noci, ma lei non mi dava il tempo. Facevo in fretta ad aprirle, mentre lei mi dava capate alle mani, le spaccavo e le facevo mangiare il dentro morbido, che ha un nome proprio. Tante ne mangiava, ma questo dopo che aveva mangiato qualche mela. Insomma Zenzera è ghiotta. Ma mastica bene, le macina, destra sinistra, sinistra destra macina e poi rimugina. E badate che lei e le capre non hanno i denti superiori. Cosa stranissima per noi, ma loro di sopra anno il callo duro, che ne so il perché.
Si potrebbe aggiungere che gli animali come Zenzera, che rimuginano, hanno le zampe biunghie. Gli zoccoli biunghie sono di una materia bella e strana che non scivola sulle rocce stondate e bagnate. Altro che gli scarponi di marca Dekatlon!. Quelli o sono troppo duri e scivolano, oppure sono morbidi e non scivolano, ma si consumano, come le gomme Micheline. Allora le capre devono fare la propria vita saltando sulle rocce e non sui tavoli, per divertirsi, per guardare dall’alto in basso e per grattarsi le zampe e le biunghie, altrimenti, come gli zoccoli di Zenzera, le unghie si allungano a dismisura e la padrona le deve ogni tanto tagliare con non so che cosa. Forse ho già raccontato tutto.
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Rimane solo il bacio di conoscenza di Zenzera e Iuka. Iuka è il cane femmina di Natalia e ha 3 anni. Era andata in campagna per far conoscenza con la Zenzera, che era dentro la sua casa dietro la rete, ma la rete non gli ha impedito di annusarsi e attaccarsi le punte dei nasi-musi a lungo, di piacersi e di fare amicizia. Né la Iuka è un cane pastore, né nessuno le ha mai chiesto di badare a qualcuno tanto meno a Zenzera, né Zenzera ha bisogno di una badante. Abbiamo inventato l’amicizia tra cane capra. Canapra, Canapra, Capra. Mah, il cane si è sciolto dentro la capra. Ed è la fine in 2 pagine, 9 paragrafi che si possono aumentare, 85 righe, 1152 parole soppesate e sgocciolate in 5301 caratteri se fossero tutti attaccati. Ma non lo sono.
p.s. Ah, dimenticavo di dire che siccome Zenzera è tutta bianca, lo sono anche le ciglia e m’è venuta voglia di truccarle con il cajal, con la matita nera e sarebbe diventata bella davvero, ma lei non era d’accordo, a priori, un pregiudizio innato, e me l’ha mangiata. Per piacere bisogna piacersi, ma lei che ne sa se si piace e se piace?

Il pesciolino rosso




Arrivò la Signora anziana insieme al servo afghano davanti alla grande vasca al centro del parco di Jamscidiè a nord di Tehran. Lei tutta ordinata e per bene, aveva pensato di liberare il suo unico pesciolino rosso il giorno 13 dall’inizio della primavera. Lui, un ragazzo giovane, basso come la Signora, aveva in mano una caraffa di vetro con l’acqua ed il pesciolino fermo.
Lei gli fa un cenno e il ragazzo butta l’acqua ed il pesciolino nella grande e profonda vasca. In realtà questa vasca era una piscina profonda di una delle famiglie ricche durante il Regno dello Scià, ma dopo la rivoluzione era diventato un parco, con un bell’intervento per renderlo agibile al pubblico. Tra tanti ristoranti e percorsi e giochi vari avevano allargato la piscina non più con una forma regolare, ma con una profondità di qualche decina di centimetri.
Il pesciolino rosso se ne stava ferma lì, e la Signora, come me, aspettava di vedere il pesciolino schizzare via nella parte profonda e scomparire nel bio profondo, iniziando a nuotare liberamente. Forse lì mancava la marijuana, come alla cucaraccia messicana, il Presidente militare all’epoca di Zapata e Villa. Non si muoveva, chissà perché, cosa aspettava per muoversi, non importava se veloce, bastava anche che nuotasse comodamente e a due passi sarebbe sprofondato nel buio, finalmente libero.
La Signora aspettò quasi un quarto d’ora e visto che il pesciolino non si decideva, si spazientì e con un cenno al ragazzo s’incamminò.
Io stavo lì ad ascoltare quello che stava dicendo mio cugino, ma pensavo al pesciolino rosso per captare il momento storico in cui, con un colpo di coda, sarebbe scappato via nel mezzo della piscina. Nel pensiero stavo cercando un bastone per farlo smuovere dal momento che non ci arrivavo con la gamba. Ho dato un occhiata intorno e tutto il giardino era in ordine senza fuscelli e rami in giro.
Se mi fosse passato per la mente il pericolo concreto e visibile che il pesciolino,da lì a poco, sarebbe stato inghiottito da una delle papere, mi sarei data da fare in qualche modo per farlo scappare dato che le papere erano continuamente nutrite con pezzetti di pane che i bambini le buttavano e non sarebbero certo morte di fame, o di sete, ma il pesciolino avrebbe perso l’unica vita che possedeva. Il gioco non valeva la candela. Ma io non ascoltavo quello che il cugino mi stava raccontando, e aspettavo il piccolo movimento che avrebbe spostato il pesciolino di 30- 50 centimetri. Ancora adesso non mi capisco perché non mi sono data una mossa, anche quando vedevo il pesciolino che di fronte al beccheggiare dei 3 anatre o papere si muoveva come se fosse ancora dentro quella caraffa, in tondo e alla stessa altezza. Nel senso orario e nel senso antiorario. Da qualche cosa ero paralizzata, forse la lunga chiacchierata del cugino mi aveva reso impassibile, ero lontana, ma sono ritornata in me quando una delle papere riuscì a inghiottire il pesciolino rosso che non sapeva cosa fosse la libertà. Nella sua memoria, sproporzionata con il cervellino minuscolo, il mondo era sempre rimasto quello che aveva conosciuto da piccolo, un tondo trasparente e poco profondo in cui lui ogni tanto si dava una mossa in questo o in quel senso. Adesso gli avevano cambiato l’acqua come facevano ogni tanto. Niente più. E lui non doveva fare nient’altro che starsene fermo come sempre.
Libertà? E chi la conosce? Chi la vuole? A che serve? E senza avvertirlo gli avevano donato la grande grandissima libertà, ma lui non se n’era accorto. Gli avessero detto in qualche maniera che, guarda, la tua libertà è una grandissima piscina e un giorno la conoscerai, ma bada che ci sono tanti pericoli, invece qui dentro la caraffa non c’è. Niente. E lui prima di conoscere la libertà, conobbe i suoi pericoli. La libertà delle papere equivaleva alla sua morte.
p.s. per chi volesse, il pesciolino quando vide l’ombra delle papere su di sé pensò: “se qui non mi invento qualcosa mi sa che finisce male!” e immaginò di avere le ali, come i pesci volanti. Così veloce, sempre continuando a girare in tondo si alzò dall’acqua e iniziò a volare..! Le papere rimasero male, ma pensarono: “meglio mangiare dei bei pezzetti di pane, l’abbondanza c’è, che un povero pesciolino rosso che avrebbe volato nelle nostre pance!”
Di Farrokh e Natalia Bavar, 2008